La metafora della frontiera esplorata con il medium dell'arte Arte e storia insieme per ricordare

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Nei giorni 28 ottobre e 2, 3 e 9 novembre, quest’ultima la Giornata della Libertà che rievoca la caduta del muro di Berlino, gli studenti della 5 A Architettura e Ambiente del Polo L. Bianciardi hanno partecipato ad un progetto che li ha profondamente coinvolti e impegnati per ricordare e riflettere, attraverso l’arte, su quell’evento cruciale della storia mondiale che avvenne la sera del 9 novembre del 1989: la caduta del muro di Berlino. Affiancati e coordinati dall'artista tedesco Roman Kroke, hanno dato vita a ciò che il progetto, promosso dall'ISGREC di Grosseto e sostenuto dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Firenze, si era prefissato come obiettivo: la realizzazione di opere artistiche da presentare in occasione della Giornata della Libertà, il 9 novembre, anniversario della caduta del muro, durante una diretta Facebook che ha coinvolto numerose scuole cittadine. Sono stati quattro giorni intensi e significativi, in cui i ragazzi, dopo una lezione sulla storia del muro tenuta dal professore Andrea Borelli dell’Università di Pisa, esperto di guerra fredda, hanno partecipato all’atelier artistico di Roman Kroke che ha intensamente coinvolto i ragazzi. Kroke è un artista di Berlino – racconta Chiara Cenerini studentessa della classe 5 A che ha partecipato alle attività - che prima di fare l'artista era avvocato. Oggi il suo genere artistico è la process art e fa mostre, conferenze, workshop e progetti con scuole, università, musei, carceri ecc... i suoi progetti hanno lo scopo di creare un dialogo unico tra arti, scienza, filosofia, storia, letteratura e pedagogia”. “L’arte processuale - aggiunge Edoardo Testi- è un’arte libera, dove il processo è più importante del risultato finale, più importante dell’opera stessa, un processo che sta alla base della concezione dell’artista tedesco che ha lavorato con noi e ci ha seguito in questa esperienza. Rimandato a causa della pandemia da COVID-19, il progetto è nato in occasione del trentesimo anniversario della caduta del muro di Berlino e, attraverso l’arte, ha studiato la storia in un modo alternativo, per creare un collegamento tra il passato ed il presente”. L’atelier, che si è svolto nei locali del Liceo Artistico, prevedeva la creazione di opere nate da materiali di scarto, oggetti da gettare ma particolarmente cari agli studenti o evocativi di qualche suggestione per ricostruire le personali visioni di muro. Eda Hoxha ci dice che: “Il primo giorno di laboratorio l’artista ci ha raccontato un po’ della sua infanzia prima e dopo la caduta del muro di Berlino, dopodiché ci ha spiegato che dovevamo creare qualcosa che avrebbe dovuto evocare il muro che divideva Berlino Est da Berlino Ovest. Per aiutarci ci ha posto una domanda: “Dove vedete un muro in me?” E ognuno ha visto un diverso muro, chi nei vestiti, chi negli occhiali, chi nella pelle, chi nella lingua”.

Roman Kroke – ribadisce Roberto Chelini - ha raccontato anche alcuni aspetti fondamentali della sua famiglia e di come la divisione Est/ Ovest l’abbia separata. Kroke, cognome paterno, ha origini Yiddish - è il nome della città di Cracovia nella lingua Yiddish. La sua famiglia era proprio di quelle zone, adesso polacche. Durante l’invasione sovietica dei territori tedeschi più orientali, l’Armata Rossa fece arretrare non solo l’esercito nazista, ma anche la popolazione civile, che si vide costretta a rifugiarsi verso il centro della Germania. Fra questa popolazione, c’era anche la famiglia dell’artista, che si stabilì a sud di Berlino. Alla costruzione del muro la famiglia si divise, e una parte si rifugiò nella Germania dell’ovest in cerca di una vita migliore”.

“Quando ancora non avevamo le idee chiare su cosa fare – racconta Sofia Pirozzi Farina - ci siamo divertiti a distruggere gli oggetti che avevamo portato”. Anche Gabriel Berti ci dice che è stata dura all’inizio. “Non avevo idee, non sapevo cosa fare e ho iniziato a smontare, demoralizzato, un microonde. Ma il secondo giorno, frugando tra le cose che avevo portato, la mia attenzione è stata catturata dalla borsa in pelle rosa che mi ero portato da casa e mi è venuta l'idea di crearci una mano che, posta davanti al volto, diventa una maschera che separa il proprio essere interiore da quello esteriore, facendo vedere agli altri quello che non siamo veramente. Quindi ho iniziato a divertirmi e a dare spazio alla mia creatività”.

Ma non si è parlato solo di arte e di storia. Bianca Vignali, infatti, ci dice che “Durante il suo intervento, l'artista ci ha parlato dell'inquinamento e dell'ecosistema e ha voluto anche che individuassimo nel nostro progetto e in quello degli altri il muro. Ognuno di noi ha scritto quali sensazione e quale tipo di muro vedeva nell’opera degli altri compagni. Un modo per leggere dentro ciascuno di noi”. Federico Ovis e Manuel Fazzi ci hanno raccontato il loro lavoro: “Siamo partiti smontando un’aspirapolvere rotta, abbiamo estratto il suo motore elettrico e lo abbiamo riparato facendolo funzionare. Dopodiché abbiamo convogliato l'aria sparata dal motore verso un getto di colore che facevamo calare da una bottiglia e, come con un grande aerografo, abbiamo colorato gli oggetti che avevamo montato dentro uno scatolone: uno schermo tv a tubo catodico, un cerchio di una biciletta, uno specchietto di un motorino e tre cd ottenendo un bel risultato”.

Quindi, piano piano, le cose hanno preso forma, le idee si sono definite, le opere hanno iniziato a nascere tra le mani dei ragazzi. Gli studenti hanno profondamente interiorizzato l’esperienza. Irene Cerri ci dice infatti che “molti giovani - ma anche adulti - non sono a conoscenza di fatti come questi, invece è necessario riflettere sul fatto che le guerre non sono solo di schieramento, di trincea, ma avvengono anche in forma diversa, all’insaputa della popolazione che, improvvisamente, si scontra con aspetti molto dolorosi di una vita della quale non conosceva la minaccia e della quale non capisce il perché”.

Gli studenti del Liceo Artistico si sono dimostrati entusiasti e partecipi, abbattendo immediatamente i numerosi muri che potevano esserci, da quello linguistico, dato che Kroke non parla italiano, a quelli emozionali, per aderire con passione e profondità ad una loro personale riflessione e rielaborazione. Gioia Saqe ci dice che per lei: “Questa esperienza è stata importante in quanto mi ha insegnato molto, come ad esempio, l'interessante uso che si può fare dei materiali che solitamente consideriamo spazzatura ma dai quali possono prendere vita nuove idee e opere d'arte. Mi ha insegnato a lavorare davvero in gruppo e sviluppare una maggiore capacità organizzativa. Inoltre, mi è servita per accrescere la mia competenza nella lingua inglese e approfondire nuove conoscenze in storia e storia dell'arte”.

Ma forse uno spunto finale di riflessione ci viene da Rebecca D’Affronto, autrice dell’opera “Nonostante tutto” che, ripensando a quello che è stato, ci ha detto: “Ho pensato molto in questi giorni al laboratorio che abbiamo svolto in classe: sono sicura che ci ha uniti, ha contribuito a farci conoscere in un modo nuovo e particolare. Abbiamo scoperto chi siamo interiormente, abbiamo capito meglio cosa pensa nel profondo chi condivide con noi un banco per sei giorni alla settimana e dopo un periodo così duro è stato bello vivere un po’ di libertà... almeno nell’arte! Ringrazio i nostri professori che ci hanno dato quest’opportunità e Roman Kroke che ha ci ha lasciato insegnamenti che fanno riflettere. Non vedo l’ora di poter andare a Berlino, magari in gita scolastica tutti insieme, per concludere in bellezza un progetto stimolante e un percorso didattico speciale, e nonostante tutto, indimenticabile!”

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